Le emozioni del terapeuta: bussola e chiavi del processo terapeutico

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Le emozioni del terapeuta: bussola e chiavi del processo terapeutico   

(“The therapist's emotions: compass and keys to the therapeutic process”)

Laura Colangelo[1] - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

ABSTRACT

Lo scambio emotivo è il cuore della relazione terapeutica. Dagli anni ’90 grande attenzione è stata riservata anche ai vissuti del terapeuta.  L’autrice applica il modello delle polarità semantiche, che permettono di rappresentare l’interconnessione dei membri del sistema anche nella relazione terapeutica, per passare in rassegna alcuni degli usi delle emozioni del terapeuta nel corso del processo di cambiamento e li illustra con alcuni casi clinici. Inoltre cita gli studi sul mirroring per evidenziare come le emozioni del terapeuta gli permettano di sintonizzarsi in modo irriflesso e ogni volta specifico partecipando alla costruzione di una relazione terapeutica “modellata” dal mondo emotivo del paziente.  Per questo enucleare le emozioni del terapeuta è cruciale per l’ipotizzazione. Esse costituiscono una bussola per orientare l’inquadramento del paziente e la scelta del setting se contestualizzate attraverso ipotesi che collochino la relazione terapeutica nel più ampio sistema delle relazioni significative del paziente.Oltre ad essere elementi utili a rintracciare i punti di snodo del percorso, indicano le incongruenze tra storia “narrata” e storia “vissuta”, incongruenze alla base dei reframing. 

La dialettica tra mirroring e ipotizzazione conferisce una direzionalità al processo guidando le scelte di conduzione e la costruzione di una nuova coerenza. Il confronto con quest’ultima favorisce la traslazione dalla semantica critica che informava anche la relazione terapeutica all’inizio del percorso ad altre semantiche pur presenti ma sinora in ombra.

 

ABSTRACT

The emotional exchange is the heart of the therapeutic relationship. Since the 1990s, great attention has also been put on the emotion of the therapist. 

The family semantic polarities model, which allows for the representation of the interconnectedness of system members including the therapist, is applied to review some of the uses of the therapist's emotions during the process of change with the help of several clinical cases. The author references studies on the mirroring to highlight how the therapist’s emotions enable them to unconsciously and uniquely attune to the patient, contributing to the creation of a therapeutic relationship that is 'shaped' by the patient's emotional world. 

Because of this, the therapist’s emotions are crucial to the hypothesising process. In fact, they serve as a compass in guiding the framing and the selection of the therapeutic setting when they are contextualized through hypotheses that place the therapeutic relationship within the broader system of the patient's significant relationships. In addition to being useful for identifying pivotal points in the therapeutic journey, therapist’s emotions highlight the discrepancies between the 'narrated' story and the 'lived' story, which are key to the development of reframings. The dialectic between mirroring and hypothesising process gives a direction to the process, guiding the choices in how to conduct the therapy and in how to construct a new coherence. Confronting this new coherence facilitates the transition from the critical semantics that initially informed the therapeutic relationship to other semantics that were present but had remained in the background until now.

 

PAROLE CHIAVE: emozioni del terapeuta, polarità semantiche, mirroring, relazione terapeutica.

KEY WORDS: Therapist’s emotions, semantic polarity, mirroring, therapeutic relationship.

 

INTRODUZIONE

“…è dalla relazione che si sviluppa la soggettività, la singolarità di ognuno di noi. Ế la relazione che ci definisce di più come specie vivente.”  Vittorio Gallese.

La soggettività del paziente e quella del terapeuta, messe tra parentesi quando si trattava di rivoluzionare l’epistemologia della psicologia verso un modello di mente contestuale ed interattiva, hanno avuto di nuovo diritto di cittadinanza nel pensiero sistemico dagli anni novanta quando la sistemica ha cessato di coincidere con la terapia della famiglia per divenire un modello di spiegazione e trattamento dei processi psicopatologici.  Da allora il tema delle emozioni del terapeuta è quindi divenuto centrale, come testimoniato, ad esempio, dal testo di Mony Elkaim sull’uso dei vissuti del terapeuta del 1989 o da un seminario organizzato sul tema da Maurizio Andolfi a Roma nel 1990. Tuttavia a lungo i concetti per pensare il coinvolgimento emotivo del terapeuta sono mancati o sono stati mutuati dalla psicoanalisi. In effetti sino ad oggi non è infrequente vedere la nozione di controtransfert utilizzata in pubblicazioni sistemiche a dispetto delle sue premesse totalmente incompatibili col modello. Nel testo citato, Elkaim si serve del concetto di risonanza per indicare l’intersezione tra le costruzioni del mondo di terapeuta e paziente ma lo definisce come un caso particolare di assemblaggio (accoppiamento strutturale di due sistemi), una metafora meccanicista e poco differenziata. Bisogna arrivare, a mio avviso, alla nozione di posizione[2] (Davies & Harré, 1990) e di costrutti quali le polarità semantiche familiari[3] (Ugazio, 1998/2012) per dar conto simultaneamente dell’interconnessione dei membri del sistema e dello spessore dell’esperienza di ciascuno sia nella famiglia che nel sistema terapeutico. Le neuroscienze supportano l’idea del ruolo fondamentale delle emozioni per vivere e comprendere le interazioni. Anche il nesso tra emozioni, relazione e contesto così importante per noi sistemici trova riscontro in questi studi: le ultime ricerche inquadrano le emozioni come esperienze emergenti e ipotizzano che per l’esperienza emotiva siano determinanti le relazioni funzionali tra le varie aree implicate in un network in cui il coordinamento varia a seconda del contesto e delle sue varie componenti (variabili cognitive, motivazionali, ambientali) in modo non gerarchico, ma dettato dal processo stesso (Balconi, 2020). Dalla letteratura recente possiamo quindi evincere che il contesto, di apprendimento come della relazione attuale, gioca un ruolo chiave nell’elaborazione del significato emotivo (Balconi et al., 2015; Balconi, Fronda, 2020; Balconi et al., 2018). Da clinici, sapevamo già che la paura del fobico vissuta corporeamente e declinata in termini di prossimità o distanza di qualcuno che possa prestare soccorso, è altra cosa rispetto alla paura della punizione dell’ossessivo o della sua angoscia per lo spaccarsi del sé; altra cosa ancora dall’ansia sociale di chi, in una semantica del potere, teme di sentirsi definito inadeguato nel qui ed ora del rapporto. Il vissuto immediato appare come un invito che può essere specificato in una dimensione processuale così che un’emozione viene definita diversamente nelle sue componenti a seconda della semantica critica prevalente (Ugazio, Salamino, 2016): il coraggio avrà obiettivi, ostacoli, definizioni diverse nel contesto della semantica della libertà, dell’appartenenza, del potere o della bontà.

 

EMOZIONI E RELAZIONE TERAPEUTICA

Lo scambio emotivo tra pazienti e terapeuta è indubbiamente l’anima della relazione terapeutica. Ma come utilizzare le emozioni del clinico nel processo terapeutico?

Mi sia consentito cominciare dalla fine: vari lavori di follow up (Colangelo 2013, 2015, 2017) sui casi conclusi o interrotti da me condotti nel Centro Psico-Sociale dove opero mi hanno fatto capire che anche il terapeuta si formula diversamente in risposta a profili di senso diversi. In questi lavori un collega, al buio su qualsiasi informazione riguardo le terapie che non fosse il formato dei colloqui, ha intervistato in parallelo me e i pazienti sui cambiamenti ottenuti e sui fattori rintracciati come determinanti; le conclusioni hanno mostrato un’ampia sovrapposizione tra terapeuta e pazienti nel vissuto della terapia, dei risultati e fattori ritenuti fondamentali per ottenerli. Tuttavia la configurazione dei cambiamenti e dei fattori enucleati variava in rapporto al tipo di relazione terapeutica costruita e alle emozioni che contribuivano in modo determinante a darvi significato. Persone con semantiche diverse cambiavano in modo diverso. I cambiamenti e gli helpfull factor riconosciuti erano differenti ed interrelati tra loro in modo caratteristico a seconda della semantica. In queste ricerche, quale sorpresa per me, che consideravo la mia persona una costante tra la mole di variabili, rintracciare nelle interviste degli ex pazienti versioni plurali e molto diverse della loro ex terapeuta.

Anche aspetti apparentemente oggettivi (ad esempio il prevalere nella conversazione dell’ascolto o di un’attiva direttività) erano tratteggiati in modo spesso opposto! Riflettendoci a posteriori mi sono convinta che questo era il portato della natura co-costruita della relazione per cui, in effetti, lungi dal pensare il rapporto terapeutico al singolare, è necessario intenderlo al plurale (Ugazio, 1998/2012): anche il terapeuta formula diversamente sé stesso per connettersi con differenti mondi di significato. Con questo non intendo, naturalmente, che il terapeuta indossi disinvoltamente versioni di sé diverse a seconda dell’interlocutore, ma piuttosto che attinga alle sue capacità affettive ed operative per collegarsi alle semantiche del paziente attraverso una serie di aggiustamenti. Le emozioni del terapeuta risultano così appartenere alla relazione e, in particolare, al suo livello tacito. Le neuroscienze (Hawk et al., 2012) documentano come i significati impliciti, cuore delle storie vissute, siano veicolati dalle emozioni e siano compresi attraverso un sapere incarnato. Il terapeuta simula a livello mentale, ma anche mimico, muscolare ed enterocettivo le emozioni del paziente in un rispecchiamento attivo ma involontario (mirroring) in cui si attivano i neuroni specchio. Si tratta di una mappatura che simula l’esperienza altrui “incarnandola” in un rispecchiamento immediato ed inconscio che prelude alla possibilità della successiva, più lenta e deliberata, mentalizzazione. In sostanza, attraverso il mirroring percepiamo le motivazioni, gli aspetti affettivi e gli effetti di un’azione compiuta da un’altra persona come se fossimo noi stessi a svolgere quell’azione o a esperire quell’emozione (in particolare attraverso i neuroni specchio della bocca della corteccia premotoria, Ferrari et al. 2003). Questo scambio emotivo intesse una storia vissuta, incarnata nello scambio emotivo preverbale e pre-narrato, che fonda la relazione terapeutica. Sull’importanza sul qui ed ora della relazione terapeutica (e quindi del vissuto emotivo) per il cambiamento c’è accordo tra i maggiori esponenti di modelli diversi: Yalom (2001) per gli esistenzialisti, molti autori psicodinamici come Atwood e Stolorow (1995), Safran e Muran (2003) con le loro teorizzazioni sull’alleanza terapeutica, gli autori del the Boston  Change process study group come Stern (2005), i cognitivisti della scuola di Guidano (1992) e Liotti (2000) etc. Tuttavia i vari modelli sono molto diversi nel concepire, analizzare ed utilizzare il vissuto del rapporto col paziente.

Da un vertice sistemico, le emozioni sia del terapeuta che del paziente possono essere comprese se contestualizzate nella relazione terapeutica che è vista come reale e attuale e non come la ripetizione della relazione con un genitore. In particolare, le emozioni del terapeuta permettono un accesso incarnato al mondo del paziente perché lo rispecchiano modellandosi sul vissuto del paziente, tuttavia la loro comprensione richiede la formulazione e la verifica continua di ipotesi che collochino la relazione terapeutica nel più ampio sistema di relazioni del paziente.                                                                                                   

 

LE EMOZIONI DEL TERAPEUTA NELLA FASE DI JOINING COME BUSSOLA PER L’INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO E LA FORMULAZIONE DEL PROBLEMA.

Da un punto di vista sistemico, il processo terapeutico può essere visto come una progressiva ridefinizione negoziale del problema grazie all'esercizio congiunto della riflessività sul positioning che configura la relazione terapeutica permettendone l’esplorazione e l’evoluzione. Seguendo il pensiero di Guidano (1992) e di Ugazio (1998/2012), il modo di comporsi della persona nella relazione terapeutica, ricorsivamente connesso col suo positioning nei contesti significativi, permette di accedere ai dilemmi che la travagliano. Inizialmente le emozioni del terapeuta danno conto della sua partecipazione, attraverso il mirroring, alla co-costruzione della relazione improntata alla semantica critica che caratterizza il paziente e ne sostiene i dilemmi affettivi. In questa fase, le emozioni del terapeuta indirizzano quindi sul modo di significare la relazione da parte del paziente orientando la riflessione per la formulazione del problema. Le nostre emozioni sono inviti in cerca di storie che specifichino il loro significato attraverso la formulazione di ipotesi: il terapeuta cerca di capire chi sia per il paziente e quale danza stiano co-costruendo nella relazione terapeutica. Per farlo, la riflessione sulle emozioni indirizza ad individuare la specifica semantica critica per ipotizzare quale forma specifica sta assumendo la relazione terapeutica (base sicura, condivisione, competizione, valutazione morale) e il ruolo attribuito allo psicologo. La relazione terapeutica è vissuta come base sicura che può proteggere da un mondo pericoloso o trampolino pericoloso che incoraggia all’esplorazione? Ế contemporaneamente ricercata e temuta come condivisione che faccia sentire inclusi e partecipi o, se negata, induca disperazione? Il terapeuta è percepito come alleato “contro” qualcuno o potenziale competitore? La relazione assume una valenza morale e lo psicologo di sente messo nei panni del giudice o di potenziale corruttore? Questi diversi vissuti alla base del modo di accedere alla consultazione guidano il terapeuta nell’ipotizzare il positioning del paziente nel sistema di appartenenza. Il qui ed ora emotivo, con la specifica intenzionalità che lo contraddistingue, incornicia ed è incorniciato dalle possibilità sul sé e sulla relazione date dal passato e dalle attese sul futuro: comprendere consiste proprio nel risalire dal tipo di coinvolgimento esperito in un episodio ai livelli gerarchici superiori (relazione, sé, modelli culturali secondo Cronen, Johnson e Lannamann, 1982) che gli danno significato.  Tutti questi livelli sono costruiti nel corso della conversazione terapeutica che sarà differente a seconda della polarità semantica critica che caratterizza di volta in volta il paziente (Ugazio, 1998/2012). Le emozioni portate dai pazienti e quelle suscitate in noi dall’incontro appartengono alla relazione che le contestualizza e hanno quindi innanzitutto un'importante funzione euristica. Sono una bussola per la formulazione e la verifica continua di ipotesi che collochino la relazione terapeutica nel più ampio sistema di relazioni del paziente. Vediamo questo processo in cui le ipotesi del terapeuta prendono le mosse dalle sue emozioni attraverso un percorso di terapia individuale.                                              

Luca, trentacinquenne laureato in Lingue, lamentava sbalzi di umore, eccessi alimentari, inerzia, giorni in cui si chiudeva e stava a letto. Nel suo caso è proprio la mia irritazione verso i suoi modi astratti e razionalizzanti che mi fa cogliere il suo vissuto di sé come un bluff e comprendere come ammantasse di anticonformismo e superiorità morale le difficoltà a investire sul lavoro e nelle relazioni sentimentali, a cogliere delle opportunità professionali e a rispondere alla richiesta della sua convivente a far famiglia. Aveva rinunciato a una collaborazione con l’università, cosa che narrava come opporsi alle attese dei genitori e al pensiero mainstream e lavorava come impiegato part time senza utilizzare la sua laurea, senza ricavarne soddisfazioni, né reddito sufficiente. In crisi con la compagna, verso la quale era molto svalutante, all’inizio dei colloqui aveva posto fine alla convivenza. I miei vissuti di fastidio nei confronti dell’atteggiamento sprezzante di Luca verso Pia sono serviti per capirne la posizione nella coppia e nella famiglia d’origine: lo sentivo verboso ed elucubrante come se non fosse autenticamente presente con una domanda di cambiamento, ma interessato a guadagnare tempo per tenere comunque legata la compagna definendosi sofferente e per avvalorare la sua comunicazione di persona ferita ai genitori. Infatti pur presentandosi come autonomo, fuori dal nucleo di origine dai 23 anni quando si manteneva all’università, coglievo, anche dalla riluttanza che trapelava a parlare della sua famiglia, un sordo rancore nei confronti dei genitori, in particolare della madre.  Nel corso della psicoterapia, il mettere a fuoco attraverso i miei vissuti il pericolo che Luca mi contrapponesse alla madre accomunandomi a lui in una pretesa superiorità intellettuale e morale mi aveva aiutato a comprendere come egli si vivesse danneggiato dai suoi che avevano da sempre un rapporto molto conflittuale e che, se giustificava il padre perché lo vedeva come fragile e sofferente, fosse molto arrabbiato con la madre. Egli la accusava di essere stata molto dura ed esigente, “l’uomo in battaglia”, e le aveva tenuto testa vicariando il padre, a suo avviso annichilito da lei.  I suoi problemi di realizzazione professionale ed affettiva, da lui sotterraneamente imputati ai genitori, erano stati definiti come un modo per continuare a fare il figlio che lo portava ad avere timore di aver successo: era riuscito con le sue latitanze rancorose a continuare a mettere in questione la madre ponendosi come censore, come uno che è dovuto scappare da un clima irrespirabile, ma ne porta ancora su di sé le conseguenze e insegna con le sue scelte una via più retta. Man mano che il suo modo di comporsi con me aveva contribuito a chiarire la sua posizione nel contesto familiare e che ripercorrendone la storia Luca “aveva scoperto” gli aspetti di sofferenza e di vitalità della madre, egli aveva ripreso rapporti più distesi con i familiari e ricominciato con modalità molto diverse e più soddisfacenti la relazione con Pia. A livello lavorativo aveva cambiato completamente ambito appassionandosi all’insegnamento rivalutando così i suoi studi.  Al follow up, Luca parla delle sue nuove competenze per costruire “relazioni meno azzurre” e della gioia di aver imparato a “con-crescere” con la partner giorno dopo giorno. Le attribuisce alle caratteristiche di normatività della relazione terapeutica e del setting per “evitare che tracimasse” e per vincere la sua riluttanza a parlare dei suoi genitori.  

                                       

LE EMOZIONI DEL TERAPEUTA POSSONO AVERE UN RUOLO CHIAVE NELLA SCELTA DEL SETTING. 

Una delle peculiarità del modello sistemico è poter scegliere il setting più adatto per promuovere il cambiamento in ciascuna situazione.  Le emozioni del terapeuta possono orientare questa decisione cruciale.

Ad esempio, nel caso di Elsa, una donna di più di sessant’anni, con una diagnosi di disturbo di personalità inviata per crisi d’ansia non rispondenti ai farmaci, ero partita dall’analisi del mio vissuto di insofferenza verso la modalità lamentosa della paziente che riduceva la sua storia a una sequela ininterrotta di abusi e di sopraffazioni e soprattutto verso l’attitudine manipolatoria del suo porsi come vittima nei confronti delle figlie. Dalle mie emozioni e dalle sue attese ero risalita al terrore di restar da sola di questa donna e alla completa assenza di una domanda d’aiuto che non fosse far da megafono a queste istanze coinvolgendo le figlie (e solo loro) nel setting terapeutico.  Elsa aveva motivato la richiesta esclusione del marito col presentarlo come handicappato, visto che soffre di sclerosi multipla, nonostante il trauma più pesante che lei lamentava, un abuso sessuale datato quasi cinquant’anni da parte di un fratello, ora defunto, fosse tale da aver sicuramente avuto un grande impatto sulla vita di coppia. Elsa aveva tenuto il segreto con tutti ma ora lo voleva rivelare solo alle figlie. Sentire il rischio di essere manipolata per tentare di riavvicinare le figlie a sé mi ha spinto a focalizzarmi sulla relazione coniugale. Raccolti elementi per cui l’irrigidimento della relazione nei ruoli di infermiera e invalido non era che l’ultima edizione di uno stallo coniugale ben precedente e che la condizione del marito era quella di chi convive con una “spada di Damocle” più che di disabilità attuale, avevo valutato che il setting più idoneo a mettere in questione la narrativa che sosteneva il problema fosse quello familiare che vedesse nel coniuge uno dei protagonisti. Il coinvolgimento del marito, e la conseguente rivelazione del segreto di Elsa, aveva gettato luce sui limiti alla loro intimità da sempre da lui patiti e che aveva sin qui ascritti a disinteresse nei suoi confronti: era quindi cambiato il vissuto della relazione coniugale e anche quello di Elsa come donna arcigna e distante. Il marito si era rivelato una persona con grandi risorse affettive e le figlie, finalmente, si erano sentite liberate dal coinvolgimento nelle difficoltà tra i genitori. La stessa Elsa, sollevata dal poter deporre una “maschera” di rigidità e durezza, aveva sentito la possibilità di un riavvicinamento con le figlie, non mediato dalle crisi d’ansia e dal vittimismo, e quindi più autentico e solido. La sua posizione era diventata attiva e aveva superato il calo d’umore e lo stigma di donna opprimente e lamentosa.   

 

LE EMOZIONI DEL TERAPEUTA COME CHIAVE PER I PROCESSI DI CAMBIAMENTO

Le emozioni del terapeuta si pongono come essenziali per la comprensione del modo di costruire l’esperienza e il problema da parte del paziente, non solo all’inizio ma lungo tutto il percorso terapeutico. Intanto, come segnali di discrepanza sono essenziali per elaborare i reframing e sono cruciali per la valutazione del loro timing. Inoltre, poiché il processo terapeutico acquisisce una direzionalità attraverso la progressiva e continua rinegoziazione interattiva del significato della relazione col terapeuta, tutto il percorso può essere descritto come una continua spola tra mirroring e ipotizzazione. Frutto di questo lavoro non sono solo i rimandi, ma l’intera forma della conduzione dei colloqui: l’analisi del dialogo emotivo conferisce una direzionalità alla conversazione terapeutica poiché guida le nostre strategie di conduzione. Quali aspetti indagare e quali lasciare in ombra, quali connessioni promuovere e quali nessi mettere in questione, cosa enfatizzare e cosa silenziare...si può pensare che l’intera conversazione terapeutica, istituendo passo passo una nuova coerenza, permetta una traslazione dei significati relativizzando la semantica critica e dando voce alle altre semantiche già presenti ma sinora marginali. Di più, se i processi mentali si costruiscono, si mantengono e cambiano nel contesto delle relazioni significative, la relazione terapeutica di volta in volta costruita attraverso lo scambio emotivo è il fattore terapeutico per eccellenza perché costituisce il processo stesso di costruzione dell’intervento. 

Nel caso di Lisa è illustrato come la comprensione e la trasformazione della relazione terapeutica con i suoi vissuti emotivi sia il vettore del cambiamento. 

 

Lisa, 35 anni, intraprendente proprietaria di un piccolo negozio di intimo si rivolge al CPS per un calo di umore che non sa ben definire. Il primo colloquio è condotto da me e da uno psichiatra. Lisa appare molto colpita dall’espressione “timore di far carte false” che utilizzo dando voce al misto di diffidenza e difficoltà a sintonizzarsi sui suoi stessi vissuti che percepisco in lei, molto preoccupata di mantenere una facciata. Lisa mostra un investimento immediato sulla mia persona tanto che messa di fronte all’alternativa tra l’inizio immediato di un percorso con lo psichiatra e l’attesa di due mesi e mezzo con me a causa di un’assenza dal lavoro, non ha esitazioni: non solo sceglie di aspettare, ma chiama il giorno preciso del mio rientro. A dispetto di questa seduzione iniziale, nei colloqui si porrà in modo elusivo e sfidante tenendomi a distanza alludendo a un segreto che non intende rivelare. Inoltre non perderà occasione per frecciate che denotano un confronto serrato sul versante della femminilità con osservazioni puntute su imperfezioni del mio look (ad es. una calza smagliata).

Focalizziamo il suo problema come il ripetersi nelle relazioni sentimentali del coinvolgimento con uomini che, a dispetto dei suoi desideri, si rivelano interessati solo a una relazione sessuale, cosa che in realtà avrebbe potuto evincere sin dall’inizio riflettendo sul tratto comune di essere “in transito” che li caratterizza.  Ma con lei mi sento, mio malgrado, implicata in un corpo a corpo agonistico con un confronto sulla femminilità, non facilmente compatibile con una relazione complementare quale è quella terapeutica. Mi sento messa in una posizione impossibile: se troppo presto mi focalizzo sul vissuto da cui si difende con la facciata sprezzante, dò corpo alla sua paura di essere scoperta nella sua vulnerabilità; se prendo per buona l’apparenza, le confermerò l’impossibilità di essere compresa e la mia incapacità. Grazie a questo vissuto comprendo che il suo tentativo di inchiodarmi nell’inadeguatezza è difensivo rispetto all’incombere di esserne travolta lei stessa. 

La riflessione sulle mie emozioni mi guida a valorizzare le sue competenze: mi mostro autenticamente curiosa sul suo ambito lavorativo dove si muove con disinvoltura. Questo spiazza le sue attese competitive e ci permette di formulare, senza che si senta sminuita, l’interrogativo di come mai per lei sia una storia agevole affermarsi negli affari mentre si muove in modo controproducente come donna. Rassicurata da questo atteggiamento confermante Lisa diviene partecipe nel porsi la questione indagando sulla sua posizione familiare. Anche la sua sfida sul segreto, che non raccolgo, viene letta nella cornice di non consentirsi di lavorare per sé stessa a livello emotivo a differenza di quello professionale. Ormai abbiamo condiviso come si senta vulnerabile come donna e ipotizzo che “il segreto” riguardi questo. Ci interroghiamo sull’origine della distanza tra l’immagine di donna curata e sexy che presenta e il timore di essere un bluff che comunica agendo un continuo confronto competitivo. A livello strutturale, le emozioni nella relazione con me prendono significato dal fatto che, anche oggi, nel suo sistema familiare ci sono due fazioni: lei, stimata dal padre, vincente per la sua intraprendenza, ha affiliato la sorella più piccola, mentre si è sentita criticata da Fiorenza, la secondogenita più vicina alla madre, perdente e svalutata dal marito maschilista. Fiorenza, però, è l’unica che è sposata e aspetta un figlio. A livello funzionale vista anche la coincidenza temporale tra l’inizio della gravidanza di Fiorenza e l’iniziativa della consultazione psicologica, in un primo tempo Lisa si è posta con me, più giovane di lei, come con Fiorenza, la sorella con cui c’è competizione e che vede realizzata come donna. Quando mi racconta la sua iniziazione sessuale per cui, appena adolescente, si era inconsapevolmente “offerta” ad un uomo maturo che non ha saputo (o voluto) vedere la sprovvedutezza oltre le parole sfacciate, sono pronta a sostenere la ragazzina nella donna che è oggi, aiutandola a riconoscere l’abuso e come continui a colpevolizzarsi proprio come accade alle vittime di violenza. Lisa che, tra vergogna e colpa, temeva di essere smascherata perché allevata al motto del padre “una donna è come un fiore, una volta sgualcito è da buttare”, è sollevata dalla distanza ripristinata tra l’episodio traumatico, di cui si era imputata, e il vissuto di sé come donna. 

Al ripetersi del copione per cui termina l’ennesima relazione in cui si è lasciata usare da un uomo, Lisa si consente di dar libero sfogo alla sua pena. Riusciamo però a ridefinirla collegando questa trama alla sua posizione familiare in cui si è colpevolizzata per la vicinanza al padre, violento con la madre. Ora che abbiamo capito la parte attiva che, suo malgrado, ha avuto nel sabotare la realizzazione affettiva in connessione con la sua posizione familiare, Lisa ha cominciato a percepirsi e a vivermi diversamente.

Sento che la fiducia e l’alleanza tra noi sono divenute forti: siamo un team.

É un sogno che mostra la svolta nella relazione: mi ha sognato mentre era sull’orlo di un dirupo. Le porgevo quelli che sembravano grissini, ma che, afferrati, si rivelavano due mani forti. Il cambiamento della relazione e delle emozioni che la animano ha veicolato una percezione inedita di sé che nel giro di un anno porterà a modificare la relazione con la madre e le sorelle. Inoltre per la prima volta Lisa costruirà una relazione sentimentale reciproca e progettuale.

Al follow up dopo tre anni, Lisa non solo continua con soddisfazione la storia con Cesare, ma stanno per trasferirsi in un’altra regione dove hanno rilevato un agriturismo da gestire insieme.

Nella storia di Lisa abbiamo visto come la trama emotiva che è costruita dal rapporto ricorsivo tra posizione col terapeuta e positioning nel sistema di appartenenza guida non solo per inquadrare il problema ma anche per delineare una strategia terapeutica.

Le emozioni del terapeuta acquistano una funzione chiave per ristrutturare il campo riconfigurando gli elementi in una nuova storia: in questo senso sono attrattori e catalizzatori che forniscono la chiave per prospettive inedite.                                                          

 

CONCLUSIONI

Le emozioni sono esperienze di frontiera tra il farsi della soggettività e della comunicazione: contribuiscono ad alimentare il senso identitario con cui ognuno costruisce e ricostruisce il vissuto della propria continuità mentre scandiscono la con-posizione nei sistemi relazionali significativi, sistema terapeutico compreso. Una situazione quale la consultazione psicologica, definita dalla necessità di giustificare il ricorso ad un esperto attraverso la comunicazione di quella che è percepita come un’eccezione o una difficoltà rispetto alle narrative dominanti, è ideale per raccogliere non solo le premesse emotivo-cognitive con cui il paziente dà senso alla realtà ma i suoi movimenti relazionali tipici. La relazione terapeutica si configura quindi come il luogo in cui si manifestano le premesse emotive alla base dei problemi attraverso il con-porsi del paziente, singolo o nucleo che sia, col terapeuta.                                                 

Come abbiamo visto, grazie al rispecchiamento il terapeuta si sintonizza in modo inconscio e ogni volta specifico partecipando alla costruzione di una relazione terapeutica “modellata” dal mondo emotivo del paziente. Per questo le emozioni del terapeuta possono acquisire lo status di informazioni chiave nel processo di continua formulazione e verifica di ipotesi che caratterizza l’intero percorso terapeutico. Si potrebbe descrivere l’iter terapeutico come una continua spola tra mirroring e ipotizzazione che si nutrono ricorsivamente a vicenda. Nella fase iniziale il terapeuta sarà orientato dalle proprie emozioni ad individuare la semantica critica che configura la relazione terapeutica. Tali emozioni, però, dovranno essere contestualizzate attraverso ipotesi che connettano l’episodio della consultazione con la fase del ciclo vitale, le relazioni cruciali delineate dalle attese verso la terapia etc.: solo così gli permetteranno di risalire al positioning che contraddistingue il paziente nei suoi sistemi significativi. Più avanti le emozioni del terapeuta lo aiuteranno a mettere in luce le incongruenze tra le storie narrate e le storie vissute, dentro e fuori dalla stanza di terapia, divenendo chiavi per elaborare i reframing e definire il timing in cui comunicarli. Ma le emozioni del terapeuta intessono l’intero corso della conversazione terapeutica sempre col doppio ruolo di bussola per orientarsi e chiave per riconfigurare gli elementi presenti in storie inedite; dalla dialettica tra il flusso emotivo fornito dal mirroring e l’ipnotizzazione scaturisce una direzionalità costituita dalle continue scelte di conduzione: al paziente è offerta una nuova coerenza che favorisce una traslazione dei significati dalla semantica critica iniziale ad altre, pur presenti, ma sinora trascurate.



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[1]  Laura Colangelo, Dirigente psicologa ASST “Papa Giovanni XXIII” Pz. Oms, 1 24100 Bergamo; psicoterapeuta sistemica, didatta EIST, Via Marco de Marchi 7, Milano 20121. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

[2] Il positioning è definito come la costruzione di ruoli fluidi all’interno della conversazione che rende intellegibili le azioni di una persona (Davies, Harré, 1990)

[3] Secondo Ugazio (1998/2012) ogni famiglia si caratterizza per specifiche dimensioni di significato, le polarità semantiche, in cui tutti i membri si con-pongono partecipando allo stesso universo di significato pur con posizioni distinte l’uno dall’altro. Da questo vertice non esiste un unico modo per costruire legami di attaccamento ma diversi a seconda delle emozioni, delle definizioni di sé e della relazione, ricorsivamente connesse, che prevalgono. Nel definire sé e la relazione possono essere ad esempio critiche emozioni di paura/coraggio con i corrispondenti movimenti di avvicinarsi privilegiando la relazione a una buona autostima o allontanarsi per mantenere un elevato senso di sé sacrificando i legami; oppure i movimenti relazionali di inclusione/esclusione alimentati dalle polarità emotive gioia/disperazione e corrispondenti a sentimenti di sé come onorato o reietto; o ancora esperire vanto e senso di autoefficacia versus vergogna e senso di inadeguatezza connessi ai movimenti relazionali di adeguarsi/opporsi sentendosi vincente o perdente.

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