Fabiana Montella[1]
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ABSTRACT
The dominant myth of today's society, characterised by the values of efficacy and efficiency dictated by science and technology, influences interpersonal relationships and the inner world of human beings, modifying their experiences and favouring the emergence of new forms of discomfort and psychopathology. The reality of the contemporary adolescent, inspired by the myth of Narcissus, different from the previous Oedipal era, has completely new characteristics and is expanding by merging with the infinite and unconfined virtual network, created by digital discoveries. It is in this context that new manifestations of adolescent malaise arise, along with certain disorders and symptoms that express defensive and adaptive strategies of young people living in situations of immobility and discomfort. The systemic therapist is called upon through research and clinical experience to recognise the myths of this time, the new languages and values, needs and trends, in order to relate creatively with the adolescent and initiate changes both on the visible interpersonal level and in the intrapsychic world, where invisible and unconscious aspects generate and/or sustain psychopathology. The myth of Dionysus can come to the rescue and inspire both therapists and young patients to redeem the healthy evolutionary drives of cooperation and creativity from the narcissistic attitudes that homologise and block many contemporary adolescents. Thus, a methodological approach is outlined, based on the model developed at the Institute, and it is clarified how systemic-relational psychotherapy with the adolescent can restart the interrupted evolutionary path.
Il mito dominante della società odierna, caratterizzato dai valori di efficacia ed efficienza dettati dalla scienza e dalla tecnica, influenza i rapporti interpersonali e il mondo interno dell’essere umano, modificandone i vissuti e favorendo l’emergere di nuove forme di disagio e psicopatologia. La realtà dell’adolescente contemporaneo, ispirata dal mito di Narciso, diversa dall’epoca edipica precedente, ha caratteristiche del tutto inedite e si amplia fondendosi con l’infinita ed inconfinabile rete virtuale che le scoperte digitali hanno generato. È in questo contesto che prendono vita le nuove manifestazioni del malessere adolescenziale, alcuni disturbi e sintomi che esprimono strategie difensive ed adattive dei giovani che vivono situazioni di immobilità e disagio.
Il terapeuta sistemico è chiamato attraverso la ricerca e l’esperienza clinica a riconoscere i miti di questo tempo, i nuovi linguaggi ed i valori, i bisogni e le mode, per poter entrare in relazione con l’adolescente in modo creativo e avviare cambiamenti sia sul piano visibile interpersonale che sul mondo intrapsichico, dove gli aspetti invisibili ed inconsci generano e/o sostengono la psicopatologia. Il mito di Dioniso può venire in soccorso e ispirare tanto il terapeuta quanto i giovani pazienti per riscattare quelle spinte evolutive sane di cooperazione e creatività dagli atteggiamenti narcisistici che omologano e bloccano molti adolescenti contemporanei. Viene quindi delineata una metodologia d’intervento, fondata sul modello elaborato in Istituto, e chiarito in che modo la psicoterapia sistemico-relazionale con l’adolescente possa riavviare il percorso evolutivo interrotto.
PAROLE CHIAVE
Adolescenti contemporanei-realtà virtuale- nuovi sintomi- sistema interpersonale ed intrapsichico- campo terapeutico sistemico.
INTRODUZIONE
Oggi per gli psicoterapeuti è una grande sfida e un’occasione unica incontrare gli adolescenti contemporanei, perché come in ogni epoca essi rappresentano la parte più viva e creativa della società. Conoscerli e scoprirli, sia nel setting intimo della clinica quando richiedono aiuto che nel contesto di scuole, comunità e piazze che scelgono di frequentare, è come ritrovarsi dinanzi a variegate opere d’arte, uniche nel sintetizzare linguaggi e vissuti di una cultura e nell’incarnare la bellezza e l’originalità di questo tempo. Caratteristica indiscussa di questo tempo, esplorata nelle riflessioni di vari teorici (Bauman, 2001; Byung-Chul, 2019; Galimberti, 2009; Pietropolli Charmet, 2008) è il cambiamento rivoluzionario di valori, idee, vissuti, pratiche sociali e tecniche, che interconnessi rappresentano ciò che è il mito dominante di un’epoca, quella cornice che dà coerenza e senso alle trame della vita umana e allo stesso tempo quel quadro che fonda la natura poetica e culturale della nostra mente. Va riconosciuta l’essenza profondamente sistemica del mito, che in ogni momento storico ha la capacità di dare significato e connettere ciò che accade tra gli esseri umani sul piano interpersonale ed intergenerazionale, con quello che accade nel mondo interiore, le dinamiche in buona parte inconsce che muovono a livello intrapsichico. Per comprendere in che modo le trasformazioni della cultura e del mito dominante, nel modificare i fondamenti della civiltà, producono effetti profondi sui legami interpersonali e sullo sviluppo della mente dell’adolescente è imprescindibile continuare a fare ricerca, rinnovare e arricchire quei fondamenti teorici e metodologici, che abbiamo ereditato dai pionieri dell’epistemologia sistemica. Solo ricercando il nuovo la psicoterapia può fare passi avanti per rispondere alle nuove forme del malessere che, come vedremo, non è possibile guarire soffermandosi esclusivamente sui sintomi. Per curare la mente occorre approfondire le conoscenze sull’uomo, sul percorso evolutivo che compie e sulla cultura in cui è immerso che influenza la mente.
Lo studio e la ricerca seguendo l’approccio sistemico-relazionale mirano con la loro visione d’insieme a trovare i nessi per collegare il sociale con l’individuale, il mondo interno con quello esterno e nel campo della psicoterapia consentono di far luce sulle basi relazionali dei nuovi disturbi, che si modificano in funzione della cultura e ai cui oggi bisogna offrire una risposta con metodologie e percorsi terapeutici adatti. La psicoterapia si occupa delle esperienze soggettive e una ricerca davvero sistemica non può essere solo quantitativa, quella delle scienze oggettive fatta di grandi numeri, esperimenti e gruppi di controllo.
Sappiamo che la mente umana è una dimensione che sfugge ai metodi scientifici di ordine quantitativo che da soli rischiano di ridurre la complessità delle manifestazioni affettive e della vita psichica (Galimberti, 2009). Molti scienziati sono concordi nel ritenere che la conoscenza scientifica consista nel mettere in discussione ciò che è dato per certo, nel permanere nel dubbio e ricercare il miglior modo per immaginare e pensare l’uomo ed il mondo, quindi più che tecnica essa dovrebbe essere visionaria (Rovelli, 2014). Anche la psicoterapia, se vuole curare davvero l’uomo e non solo i sintomi psichici, dovrebbe essere visionaria, una scienza umana che tende ad evitare la neutralità e l’obiettiva distanza a favore di una ricerca partecipante sul campo, basata sulle esperienze cliniche e sulle connessioni anche con le altre discipline (filosofia, matematica, fisica etc..) per elevare la complessità nella comprensione dell’essere umano e permettere di cogliere i significati interiori delle esperienze umane che si celano dietro i sintomi.
La metodologia esposta in questo articolo deriva proprio dall’incontro clinico con i pazienti e dal lavoro di supervisione diretta ed indiretta svolto con i terapeuti in formazione. Nasce quindi da un laboratorio sociale umano, dove le esperienze sono condivise da un gruppo di lavoro costituito da più psicoterapeuti appartenenti all’Istituto di Psicoterapia Relazionale (IPR) di Napoli e Caserta[2].
La ricerca sul campo, sostenuta dal lavoro di gruppo, ha consentito di aggiornare e rinnovare le teorie e le prassi cliniche. Queste spinte hanno condotto negli anni all’approfondimento del modello della scuola, teorizzato da Luigi Baldascini (1993), denominato Modello di Articolazione Intersistemica (M.A.I.), di cui descriverò di seguito aspetti teorici ed operativi, in particolar modo nell’intervento con gli adolescenti. Il modello M.A.I. in continuità con la visione “ecologica” dell’uomo trae origine dalla ricerca sul funzionamento sano dell’individuo e dei suoi rapporti, si occupa dello studio dei sistemi relazionali e di come l’interpersonale si connette con l’intrapsichico, come ciascuno influenza, plasma l’altro nel costituire quel tutto complesso e integrato che è la mente umana nei suoi derivati visibili e nei suoi aspetti invisibili. Il funzionamento psichico, così concepito, rappresenta un tutt’uno con l’ambiente e la sua evoluzione può essere vista come capacità di costruire rapporti e formare legami con esso (Baldascini,1996).
Pertanto dall’incontro e dall’interazione tra campo intrapsichico e sociale deriva la possibilità per la mente umana di evolvere in equilibrio o al contrario di esprimere malessere con la comparsa di sintomi, inevitabilmente collegati alla cultura dell’epoca in cui prendono forma.
I CAMBIAMENTI SOCIALI E CULTURALI
In campo sociale una delle grandi trasformazioni che viviamo oggi è il passaggio dalla precedente società edipica a quella narcisistica. Il mito Edipico del passato è stato scalzato da quello di un moderno Narciso, giovane intento ad esporsi e piacere, a ricevere conferme e “like” che colmino il vuoto profondo della propria insoddisfazione o frustrazione. Questo cambiamento epocale che vive l’individuo può essere ricondotto al rapido sviluppo della cultura occidentale capitalista che propone più che l’ordine normativo gli incanti seduttivi del mercato, modellando gli individui nel ruolo di consumatori, offrendo una quantità illimitata di opportunità da non perdere e rimpiazzare velocemente (Bauman, Dessal, 2015). Il predominio della scienza e della tecnica, di cui il cellulare ed il pc rappresentano i mezzi più potenti, con il dio denaro che le sostiene, promuovono i valori della velocità e della competizione, dell’efficacia ed efficienza. Non stupisce che l’individuo immerso in questa cultura possa provare molta impazienza ed inquietudine, alla ricerca del piacere e dell’approvazione nel costante tentativo di evitare o negare ogni forma di dolore o vuoto. Anche la struttura familiare si è adattata ai requisiti imposti dal sociale e riflette i valori dominanti. Nell’epoca edipica il figlio doveva fare i conti con i limiti imposti ai desideri sia da una funzione paterna normativa che da un intero sistema sociale repressivo. Il bambino e l’adolescente entravano in conflitto con l’adulto in nome dell’espressione libera di sé, affrontando il dolore della colpa che il conflitto comporta. Oggi invece nell’epoca narcisistica il sociale promuove il mito del successo e dell’immagine, il culto della prestazione e della ricerca di continue sensazioni. Il codice simbolico familiare non è più di interdizione, ma incentrato sulla necessità di colmare i bisogni dei figli, garantire loro esperienze illimitate nella possibilità di renderli sempre appagati. Gli adolescenti contemporanei non hanno la necessità di spodestare l’adulto e il potere, sentono invece di deludere i familiari, i coetanei e le aspettative sociali. Fanno i conti con genitori angosciati dal successo sociale dei figli, dalla paura di non essere amati da loro (Lancini, 2015) e che tendono ad evitargli ogni limite. Ma in adolescenza nessun figlio è immune dall’incontro inevitabile con il limite, con l’ostacolo, rappresentato dall’uscita dal sistema familiare con la perdita dei primi oggetti di amore alla ricerca della propria nuova identità. Se il giovane non è in grado di tollerare l’attesa e la frustrazione, se è impreparato a contenere l’esperienza dolorosa della perdita e della delusione sperimenta un immenso vuoto. Dunque il disagio nel mondo interiore dell’adolescente oggi non è caratterizzato più dal senso di colpa, ma dalla vergogna, dal senso di fallimento e inadeguatezza quando non conquista follower, e soprattutto da un incolmabile senso di vuoto.
Il vissuto che fa da sfondo alle nuove forme del malessere dell’adolescente è proprio il vuoto, perché nell’epoca dominata dal mito del consumo è ciò che potrebbe illusoriamente essere colmato attraverso l’amore smisurato dei genitori e l’uso smodato degli oggetti nell’inganno che essi possano annullare ogni mancanza. La nostra società capitalista ha infatti trasformato il vissuto della mancanza, esperienza umana che nasce dall’incompletezza e dal desiderio che spinge a ricercare i legami con l’altro, in quello angosciante di un vuoto.
Dinanzi al vuoto e alla difficoltà a separarsi simbolicamente dalla famiglia il giovane Narciso o aderisce ai modelli di successo proposti dalla società con ansia da prestazione o, poiché appare più veloce, può consumare sensazioni che i dispositivi tecnologici attuali amplificano con intensità.
La tecnologia ed il mondo virtuale sostengono questa tendenza perché forniscono una rete veloce di contatti, di oggetti e collegamenti. Il virtuale rappresenta quella che i sociologici definiscono l’infosfera (Floridi, 2017), un’inter-realtà ibrida, in cui i flussi di informazioni reali e virtuali producono un nuovo spazio sociale, accelerato e pervasivo, un intreccio di relazioni in cui cambia il senso di sé e del mondo (Gabrielli, Bacini, 2021). Per gli adolescenti la rete garantisce lo scambio con i coetanei nelle piazze virtuali, diviene socializzazione digitale e permette l’accesso a contenuti illimitati. Ma l’infosfera nel velocizzare il tempo e ridurre lo spazio, nella simultaneità e puntualità dell’istante a scapito dell’attesa e della presenza trasforma l’uomo e il suo modo di conoscere e fare esperienze condivise della realtà. Il virtuale è un in-confinabile sistema che offre solo una particolare rappresentazione della realtà e per l’adolescente può divenire come quell’area transizionale (Winnicott,1974) a metà tra mondo reale e immaginario, in cui intrapsichico ed interpersonale si incontrano e si trasformano, creando nuovi territori mentali. Purtroppo a volte essi si fondono e si confondono, divenendo lo scenario che permea molti dei nuovi disturbi che i giovani presentano.
NUOVE FORME DI MALESSERE IN ADOLESCENZA
Molti degli adolescenti che incontriamo nel centro clinico dell’Istituto ad una prima osservazione fenomenica sembrano indossare l’abito di un moderno Narciso alla ricerca di like ed approvazioni, intento ad inseguire senza conquistare, a correre senza contemplare o a ritirarsi senza più lottare.
Uno sguardo prolungato e un ascolto attento invece, che lo spazio terapeutico riserva, fanno emergere tutto il dolore e il malessere che nell’adolescente non trova parole e si tramuta in sofferenza o in sintomi di malattia psichica. Nelle nuove manifestazioni del malessere che i giovani esprimono possiamo ritrovare dei tratti fondanti comuni, che a livello intrapsichico danno forma alla sintomatologia e sul piano interpersonale offrono una identità, che seppur fragile permette di adattarsi ai rapporti e in generale ad un contesto sociale accelerato e ansiogeno, che non prevede il fallimento o le fragilità, che rimuove il dolore.
Un primo fattore centrale alla base della deriva narcisistica, della necessità di apparire e competere e dell’ansia dell’adolescente è il vuoto educativo dei sentimenti (Baldascini, Montella, 2023). Constatiamo sempre più come in questa società così accelerata ed esibizionista non ci sia più il tempo e lo spazio per la comprensione e l’educazione del mondo emozionale. Ma il mondo affettivo vario ed articolato, costituito da una miriade di sfumature di sentimenti, costituisce ciò che anima ogni individuo e non può essere in alcun modo trascurato.
Il dominante paradigma tecnico - scientifico ha portato indubbie scoperte, ma il grave rischio è che con la sovranità assegnata alla ragione si ponga come unica strada rivelatrice di verità (Bauman, Dessal, 2015) e tenda ad oscurare sempre più il mondo della soggettività, delle emozioni, tutto ciò che rispetto all’immagine e ai comportamenti è invisibile.
Eppure la psicodinamica ha rivelato che tutto ciò che del mondo interiore, come i sentimenti, non ha possibilità di elaborazione simbolica perché rimosso o negato, e non trova luogo di condivisione sociale in una cultura che ignora ciò che non è merce, non viene reso dialettico ed è agito, quindi può fare irruzione nel reale e nei rapporti con gli altri anche sotto forma di sintomi (Recalcati, 2011). Come possiamo rintracciare in forme estreme nei gravi fenomeni di omicidi o violenze di gruppo descritti dalla cronaca, che vedono coinvolti giovani inermi o ignari degli effetti di azioni compiute sull’onda di vissuti, di cui non hanno alcuna consapevolezza e contenimento.
Sappiamo bene dagli studi come i sentimenti derivino dalle emozioni e che devono essere appresi ed educati. Galimberti (2009) chiarisce come il mondo non parli direttamente al bambino, ma attraverso la fiducia e la parola dell’adulto che lo aiuta a dare senso a ciò che accade e a ciò che sente con la condivisione, la narrazione di sé e dei propri sentimenti. L’educazione emotiva consente lo sviluppo di una mente sana prevenendo le patologie, perché i sentimenti sono, come afferma Baldascini (2003), ponti relazionali che derivano dalle emozioni e connettono le persone al mondo intrapsichico ed interpersonale. Un individuo più costruisce ponti più amplifica la rete che lo protegge nelle difficoltà della vita. I complessi legami di appartenenza con la famiglia, con i pari e gli adulti sono ponti che creano connessioni fuori ma anche nel mondo interno e consentono ai giovani di adattarsi alle situazioni e riconoscere ed esprimere i sentimenti in modo adeguato, anche quelli spiacevoli come la rabbia e la paura.
Nel percorso di vita di alcuni adolescenti questo non si è potuto realizzare, i ponti sono esigui, i legami pochi e caratterizzati da dipendenza o frettolosi e superficiali.
Nel setting intimo della psicoterapia emerge così tutto il bisogno che gli adolescenti hanno di avere uno spazio in cui il cuore possa trovare ascolto, in cui si possano esprimere le emozioni e siano contemplate le insicurezze e le fragilità, nascoste dietro i filtri digitali che omologano, levigando i loro volti e corpi nella rete pervasiva dei social.
Nella nuova clinica incontriamo giovani come Marco, che ha 17 anni e vede senza sosta gli “anime”, film d’animazione giapponese. Egli svela con vergogna che per sentirsi parte di queste trame ed entrare nelle scene che lo attraggono ricorre ossessivamente ad una tecnica di autoinduzione, il reality Shifting[3], per disconnettersi dal mondo reale ed immergersi nei mondi dei suoi eroi. Lo scopo è avere la sensazione di essere in un'altra dimensione, cercando di fare esperienza dello stato mentale dei sogni lucidi. Nella sua stanza immagina di essere con il suo personaggio amato degli “anime”, vive esperienze intense con lui, si commuove, ci parla e a fatica riesce a riemergere da questa fantasia allucinata, pubblica poi sui social il suo risveglio con musiche e scritte, per condividerlo in rete con altri coetanei che usano la stessa tecnica (Montella, Accardo, Coronato, 2022). Laura invece si rifugia con le sue fantasie allucinate nella saga di Harry Potter. Come Marco, manifesta i segnali del MDD, maladaptive daydreaming - disturbo da fantasia compulsiva[4].
Giulia detesta il suo aspetto e ritiene che non potrà mai avere un partner, si dichiara gender fluid, ma vive appassionate relazioni nell’applicazione online Character AI, un chatbot di intelligenza artificiale che consente di interagire e flirtare con avatar di star mondiali.
Alberto ha il terrore di ingrassare, usa un'app che permette di monitorare le singole calorie che si introducono nel corpo, ma anche di condividere il successo dell’astinenza alimentare con altri coetanei che rientrano nella community e su instagram ha migliaia di follower per il suo aspetto emaciato ed etereo, come quello di top model a cui si ispira. Andrea ha la passione per le tenebre, guarda ossessivamente serie tv d’orrore, il diabolico lo attrae e lo rapisce, fa parte di un blog di cutting su cui condivide con foto l’autolesionismo e sui social dispensa tecniche per altri self-harmer. Luca è sempre triste e trascorre tutto il suo tempo in una comunità in rete che promuove il suicidocosmo[5] con una serie di patti mortali, che con un effetto Werther[6] potrebbero spingerlo ad emulare atti suicidari e a partecipare alle challange come la choking game[7] che ha seguito su tik-tok. Flavia ha inviato foto intime al ragazzo che desidera, ma il gesto impulsivo di sexting la espone ad una grande vergogna, teme che il suo profilo social prima molto seguito sia ora danneggiato da trolling, che possono offenderla con commenti e minacce. Per questo non riesce più a dormire la notte e ricorre in una crescente dipendenza ai video pubblicati online dove protagonisti ormai famosi stimolano l’ASMDR[8]. Dario non esce più dalla sua stanza, si è ritirato gradualmente dalla scena sociale ma nel meta-verso ha una vita ricca di progetti e nei giochi online è un personaggio di successo. Edo è stato adottato, ora da adolescente vuole diventare come gli attori di una serie tv famosa, esibisce prepotenza ed in classe assume comportamenti violenti, ma fuori scuola è rispettato e temuto perché sul suo account tik-tok riceve molti like per le sue canzoni e le sue gesta da gangster.
Queste varie forme di malessere degli adolescenti contemporanei, che caratterizzano la nuova clinica, vanno accolte e comprese sempre alla luce delle storie, dei vissuti soggettivi e della fase di vita che attraversa l’intero sistema familiare in cui i ragazzi crescono.
Tuttavia possiamo cogliere e delineare elementi comuni, che fanno da sfondo alle manifestazioni comportamentali dei pazienti, di cui l’intervento terapeutico deve occuparsi:
- L’incapacità di dare senso alle emozioni che non elaborate investono il corpo e la psiche.
- Il senso di inadeguatezza ed impotenza, perché non si riesce ad emergere nella società dell’efficacia ed efficienza.
- Un’immobilità, un blocco evolutivo che può condurre al ritiro dalla realtà, al rifugio in un mondo virtuale libero dal dolore o all’opposto all’esibizione di comportamenti trasgressivi, antisociali (Schneider, 2022) da condividere anche in rete.
In entrambi i casi il superamento del limite sostiene fantasie infantili di onnipotenza mentre i social network quelle di una visibilità e di un successo pubblico tra coetanei.
- Un vissuto di sofferenza attraverso cui un membro della famiglia esprime il dolore o il blocco dell’intero sistema che ha vissuto eventi difficili o traumatici, talvolta sospesi intergenerazionali, che non sono stati condivisi ed elaborati.
Queste forme del malessere sono tutte dipendenze caratterizzate dalla presenza d’angoscia, di un vuoto che esige di essere riempito compulsivamente attraverso un godimento senza soddisfazione.
In una dimensione narcisistica tipica dell’epoca il giovane preferisce spesso al legame con l’altro fondato sull’eros, che richiede impegno e precarietà, l’isolamento, il culto del godimento solitario o la relazione con oggetti: droga, alcool ma anche social network, videogiochi, cibo, personaggi virtuali, etc.. al posto dei legami sociali veri, della condivisione, della solidarietà.
Rispetto al passato i nuovi sintomi sono caratterizzati da una tendenza a passare all’atto, ad una evacuazione del dolore psichico, che non simbolizzato investe il corpo con somatizzazioni e spinge a consumare compulsivamente stimoli (Recalcati, 2011), in particolare quelli che velocemente offre il virtuale e che la spoglia realtà nega. L’ipotesi è che in queste dipendenze il vuoto e la tendenza a passare all’atto sollecitino la psiche ad inglobare ed assimilare il mondo virtuale in quello reale, fino ad allucinare le fantasie ed i desideri, rendendoli vividi all’interno delle stanze private della casa o in quelle indefinite delle applicazioni digitali. Sono adolescenti che si rifugiano nell’infosfera, sospesi tra reale e virtuale, sprofondano in un limbo in cui ogni impresa desiderata diviene possibile. Provano a trasformarsi in abili guerrieri coraggiosi e magici, in top model o influencer con un vasto pubblico, in spavaldi leader anche di gesti riprovevoli, come se in questo “altro” sistema, dove reale e immaginario, psichico e corporeo si fondono, le fantasie allucinate e i like conquistati possano rianimare, nel senso di dare anima ai cuori spaventati e ai desideri delusi. Il mondo virtuale diviene compagno immaginario, come gli oggetti transizionali dell’infanzia che consolano dalle frustrazioni, sostiene l’illusione dell’onnipotenza, modera le angosce di separazione, anestetizza vissuti di tristezza e vergogna. La funzione ipnotica e ammaliante che il virtuale può rivestire nel mondo dell’adolescente rimanda l’immagine mitologica delle sirene[9]. Nei racconti in seduta e nelle osservazioni delle dinamiche che i giovani pazienti ripropongono appare sempre più evidente la capacità che ha il virtuale d’ammaliarli con suoni, colori e voci come un canto di sirene. Il virtuale, la rete e la dipendenza che ne scaturisce, che rapisce i sensi e persino la libertà di scelta, possono rappresentare delle affascinanti sirene contemporanee. Come quelle narrate nell’Odissea sono dannose perché creano dipendenza in chi ascolta, promettono il piacere senza soddisfazione, vengono dal mondo degli inferi, sono espressione della pulsione di morte che può condurre, come nel mito di Ulisse, alla rottura di ogni legame, alla rovina dell’animo umano (Accardo, Coronato, Montella, 2023).
Come terapeuti sistemici ci siamo chiesti come il lavoro clinico possa aiutare l’adolescente rapito dal virtuale e sospeso nel suo percorso evolutivo a rinunciare al canto ammaliante delle Sirene.
La ricerca attraverso l’osservazione di numerosi casi clinici ed il lavoro di intervisione e supervisione gruppale sugli interventi terapeutici hanno permesso di delineare un modello d’intervento. Secondo questa metodologia il processo clinico può configurarsi come una esperienza condivisa da terapeuta e paziente, un viaggio di scoperta che può risvegliare l’adolescente aiutandolo a trovare se stesso e il proprio talento, affinché possa resistere al canto ammaliante delle sirene virtuali perché ispirato e non più ossessionato e dominato dalle proprie fantasie e passioni.
UN MODELLO TERAPEUTOCO SISTEMICO RELAZIONALE
La metodologia terapeutica si fonda sulla visione sistemica e relazionale della mente che ha condotto, in continuità con la visione ecologica della vita che ispirò Bateson (1976), all’elaborazione del modello teorico-operativo denominato M.A.I. (Modello di Articolazione Intersistemica), ideato da Luigi Baldascini. Il modello cerca di raccordare il pensiero, le emozioni e il comportamento dell’individuo con i legami interpersonali.[10] In esso la visione relazionale e quella psicodinamica riescono a dialogare in modo efficace[11], aiutando a scegliere l’intervento terapeutico più adatto e da quale sistema attingere le risorse.
Secondo il M.A.I l’individuo si sviluppa lungo il ciclo vitale attraverso la qualità dei legami che instaura e che fondano la sua mente. L’adolescente in particolare per crescere in modo sano deve poter avere relazioni mobili di appartenenza e non di dipendenza, all’interno di tre sistemi interpersonali, tutti necessari allo sviluppo sano della mente, rappresentati dalla famiglia, dagli adulti significativi e dai coetanei. Infatti questi tre sistemi interpersonali con le loro diverse funzioni, i valori e i linguaggi specifici forniscono le risorse necessarie allo sviluppo del mondo interno, suddiviso a sua volta in tre sistemi intrapsichici: emotivo (il sentire), cognitivo (il pensare) e motorio (l’agire). Ciascun sistema interpersonale è collegato isomorficamente[12] ad un sistema intrapsichico. In particolare la famiglia avvia lo sviluppo e la differenziazione del mondo emotivo, il gruppo dei pari stimola l’agire, la sperimentazione funzioni del sistema motorio, il mondo degli adulti (insegnanti, educatori, allenatori, parenti..) favorisce lo sviluppo del pensiero ipotetico e progettuale, funzioni del sistema cognitivo. Quando l’adolescente ha rapporti interpersonali di appartenenza può attingere e utilizzare le risorse e le funzioni specifiche offerte dai sistemi interpersonali, può ricevere sia accoglienza e contenimento nella famiglia, che avere sostegno dagli adulti significativi per realizzare i propri progetti di vita e inoltre può trovare alleanze e complicità nel gruppo dei pari in cui esprimere le parti istintive di sé. Il legame di dipendenza, viceversa, non consente all’adolescente la necessaria mobilità per accedere alle esperienze nei tre contesti relazionali e rende l’individuo immobile all’interno di uno di essi, determinando un blocco nel mondo intrapsichico corrispondente che influenza lo sviluppo interiore (Baldascini, 1994).
Secondo il modello, quindi, una diagnosi relazionale della condizione vissuta dall’adolescente mira ad esplorare le sue esperienze e la qualità dei rapporti in famiglia, con gli amici e con gli adulti di riferimento. Allo stesso tempo permette al terapeuta di comprendere le risorse o i blocchi relativi al sentire, pensare ed agire del paziente. Individuare quale è il contesto interpersonale in cui si verificano maggiori difficoltà ed il corrispondente sistema intrapsichico, che ne risulta compromesso o iperfunzionante, permette di definire così gli obiettivi terapeutici ma anche il setting preferibile da attivare.
Si stabilisce quindi per ciascun singolo caso, in base all’immobilità dell’adolescente nei suoi sistemi, quale è il setting terapeutico da prediligere, se familiare, individuale, di gruppo e/o con quale proseguire.
Ad esempio se l’adolescente è immobile nel suo sistema familiare non riesce a differenziarsi, può incontrare difficoltà nel rapporto con i coetanei e con gli adulti e non può contare su reti relazionali ampie che fungono da protezione, ma anche da spinte nel suo mondo intrapsichico. L’immobilità nel sistema familiare può favorire un eccessivo funzionamento del mondo emotivo a scapito del pensare e dell’agire. In questo caso l’eccessiva conflittualità o dipendenza dalla famiglia fa protendere per l’avvio di un percorso di terapia familiare, con il progetto terapeutico di aiutare il giovane a potersi gradualmente sperimentare altrove, sia con i pari con cui potersi esprimere liberamente, che con adulti con cui progettare e confrontarsi per stimolare quindi l’agire ed il pensare.
Qualora poi un adolescente sia incline a frequentare il sistema degli adulti, non trova contenimento e conforto alle sue emozioni all’interno del sistema familiare. Inoltre tende ad evitare esperienze nel gruppo dei pari per la paura e la confusione che il confronto con loro può far scaturire.
La razionalità e il sapere sollecitata dal mondo adulto potrebbero determinare a livello intrapsichico un’iperstimolazione del sistema cognitivo. In questo caso può essere funzionale inserire il paziente in un setting individuale per aiutarlo, a partire dalla relazione con il terapeuta, ad entrare in contatto anche con gli aspetti emotivi del sé e con le sue parti istintive avviando fuori dal setting relazioni con i pari e con adulti.
Qualora l’adolescente sia dipendente in particolar modo dal sistema dei pari può essere utile l’inserimento iniziale in un gruppo terapeutico di giovani pazienti, in cui dare spazio anche ai sentimenti e ai pensieri in modo da sollecitare rapporti di appartenenza al mondo adulto e familiare. La scelta del percorso terapeutico si fonda quindi su una valutazione delle problematiche portate in terapia, dei sistemi di relazioni che irrigidiscono/sostengono il problema e della personalità dell’adolescente. Talvolta per la gravità di un quadro clinico viene indicato un intervento multimodale, che prevede più contesti terapeutici contemporaneamente per promuovere connessioni intra ed inter sistemiche.
Diventa infatti indispensabile nelle problematiche gravi seguire l’adolescente con una terapia individuale e sincronicamente nel setting familiare, condotto da un altro terapeuta appartenente alla stessa equipe, con cui avviene un confronto periodico. In ogni caso al di là del setting prescelto la relazione terapeutica può rappresentare per l’adolescente l’occasione di rivivere in un contesto nuovo quanto è stato e viene esperito nella propria vita nei tre sistemi interpersonali. Ciascun paziente può rivivere in sedute emozioni passate reiterate in famiglia e cominciare a sperimentare anche nuove modalità di interazione familiare, così da ampliare il proprio bagaglio emozionale. Ugualmente può ripercorrere in terapia esperienze vissute nel gruppo dei pari che riattivano sensazioni e giocare con il terapeuta in un’area transizionale dove possono accadere nuove esperienze attraverso processi imitativi e associativi. L’incontro terapeutico alimenta per di più l’attività simbolo-poietica, perché come avviene nel sistema degli adulti lo scambio genera nuove idee e significati e i pazienti possono progettare obiettivi e immaginare la realtà futura (Baldascini,1996). In questo modo il processo che si crea tra adolescente e terapeuta nello svolgersi degli incontri avvia sincronicamente collegamenti tra il pensare, l’agire ed il sentire, arricchendo ed armonizzando il suo mondo interno.
Quando l’adolescente presenta condizioni di malessere fino all’emergere dei sintomi clinici, come quelli accennati precedentemente, assistiamo sempre ad una disarticolazione tra il sentire, il pensare e l’agire e al loro scollegamento nei tre sistemi interpersonali.
Prima ho segnalato come tratto comune alla base delle varie forme del malessere in adolescenza il vuoto educativo dei sentimenti e l’assenza di una sana espressione ed elaborazione emotiva.
Secondo il modello, attraverso la relazione terapeutica si cerca di riavviare la mobilità interpersonale ed intrapsichica, riattivando in particolare i sentimenti che aiutano l’adolescente ad entrare in contatto in modo armonico e coerente con i pensieri e le azioni. La psicoterapia, in altri termini, cerca di dare spazio al mondo dei sentimenti e delle emozioni che nella vita non sono stati accolti e compresi. Il terapeuta, infatti, rappresenta una sorta catalizzatore di esperienze emotive che consentono di strutturare nuovi sentimenti e di sollecitare quelli che limitano la personalità del paziente (Baldascini, Montella, 2023). Il processo terapeutico, inoltre, cerca di avviare una nuova narrazione di se stessi, collegando i ricordi della propria storia con i progetti futuri, e i simboli del mondo interno con le scelte che si compiono.
Se consideriamo che la mente ha un fondamento poetico più che logico, riconosciamo che oltre a fondarsi sulle strutture del cervello viene alimentata dai racconti della propria vita, dai personaggi interiorizzati, dai sogni, dai miti, da immagini universali che costituiscono i modelli fondamentali del nostro pensare, sentire ed agire (Hillman, 2001). Per questo la terapia non può che essere poetica ed artistica, trasformando di seduta in seduta le storie cliniche in inedite narrazioni.
In questo modo i pazienti possono dare un senso nuovo agli eventi vissuti e la vita può essere vista in una prospettiva più ampia e originale. Tutto questo può accadere se paziente e terapeuta costruiscono un’intimità che consente di condividere una visione sistemica che, come un campo relazionale, permetta non solo di scambiare contenuti verbali e non, ma anche di far emergere nuovi pensieri e sentimenti. I vissuti, le fantasie, le sensazioni e le emozioni possono essere trasmessi tra gli individui in modo più o meno inconscio[13] e nell’incontro terapeutico tutto ciò forma un vero e proprio campo di relazioni invisibili[14].
L’approccio sistemico ci invita a considerare come concorrono alla formazione di questo campo elementi del qui ed ora, sollecitati nel presente dall’incontro tra le menti del paziente e del terapeuta. Molti di questi appartengono al passato, a memorie storiche familiari e generazionali sedimentate nel tempo. La relazione psicoterapeutica in ogni caso genera un campo sistemico[15] (Baldascini, 2022) che si estende oltre i confini fisici del setting e presiede alla formazione di “una mente nuova”, che potenzialmente può consentire di accedere a nuove esperienze emotive e cognitive. Questo accade quando in seduta il terapeuta riesce a cogliere immagini o vissuti che emergono dal proprio mondo interiore, stimolati dagli affetti, dalle fantasie e finanche dai contenuti non ancora pensati e metabolizzati del paziente. Il terapeuta può utilizzarli, condividerli e renderli dialettici in modo creativo: per esempio può ricorrere ad una metafora (Whitaker, 1989) che simbolizzi e condensi in modo intuitivo il vissuto emergente dal campo. Può avviare, partendo da questa immagine, incipit di nuove narrazioni animate (Hillman, 2021), attingendo dal mondo artistico o musicale, dalla filmografia, dalla letteratura, dai sogni etc.. e incoraggiare il paziente a co-costruire, attraverso l’uso del “come Se” (Winnicott, 1974), sequenze di storie inedite della propria vita[16]. Il campo sistemico inteso come dispositivo trasformativo di vissuti emotivi può consentire agli adolescenti, sospesi tra mondo reale e virtuale, l’elaborazione di quegli affetti che tendono ad essere compulsivamente evacuati ed agiti sotto forma di sintomi.
Infatti nelle gravi manifestazioni sintomatiche può prevalere il passaggio all’atto. In questi casi si tratta di agiti che rivelano un indebolimento del piano simbolico ed un eccesso di reale al punto che anche il virtuale viene inglobato, divenendo un unico grande sistema in cui vivere esperienze gratificanti e grandiose.
Per questi adolescenti i personaggi noti e gli eroi diventano persone reali con cui parlare e trascorrere le giornate, le scene transitano dalle serie tv nella cameretta di casa, le fantasie prendono vita e assorbono la quotidianità, il successo e la notorietà non hanno più confini e palcoscenici reali. Il lavoro terapeutico mira a ricondurre su un piano simbolico le fantasie agite e tutto ciò che del mondo interno insiste per divenire reale. Attraverso il campo sistemico, che è transpersonale, le fantasie ripetitive, i personaggi, le immagini delle serie tv o dei giochi virtuali, che l’adolescente riferisce evocano nel terapeuta idee, sentimenti, ricordi che, come dicevo, può utilizzare per avviare uno scambio creativo. Addentrarsi nelle fantasie degli adolescenti, nei loro sintomi, piuttosto che eliminarli bruscamente, dà vita a racconti immaginari che si arricchiscono con il contributo di tutti i presenti (anche i familiari se il setting è multipersonale) e sollecita una mobilità intra ed intersistemica alla base di una crescita sana.
Il terapeuta per dare vita a nuove scene relazionali, che consentono ai vissuti anche dolorosi di essere trasformati, può chiedere all’adolescente di entrare a far parte di quel determinato film e proseguire il racconto immaginando un finale, può invitarlo a trasformare alcune emozioni in animali o esseri mitologici, può chiedere di creare un personaggio che lo rappresenti per narrare le sue gesta, di riscrivere un testo musicale con altri versi, di visualizzare un’opera iconografica etc.. Questi racconti devono poter prendere posto nella realtà psichica dei pazienti come elementi vivi. La trasformazione affettiva e cognitiva può accadere nel paziente solo se aspetti e contenuti personali transitano durante la nuova narrazione da una dimensione individuale ad una gruppale sistemica, si iscrivono in un campo comune e vengono trasformati all’interno della relazione terapeutica.
In questo modo la psicoterapia allena l’arte dell’immaginare e del contemplare, risveglia nei giovani pazienti la curiosità e soprattutto la creatività. La dimensione creativa riconnette la persona ai suoi desideri, alla forza vitale di eros che spinge ad inventare, simbolizzare e creare legami, proprio ciò che nel malessere viene perso. Inoltre essa permette al terapeuta di aggirare le resistenze del paziente ed incuriosirlo per riportare in superficie elementi, temi, fantasie presenti in quel momento nel campo (Montella, 2019). Dalle mie esperienze cliniche è emerso quanto la creatività rappresenti una vera e propria forza, un’energia che consente al giovane Narciso di uscire dallo stagno della sua camera e del suo profilo social, volgere lo sguardo oltre lo specchio e mettere a tacere le sirene del mondo virtuale che tormentano per ritornare a cercare il legame con l’altro, vivo e reale.
Questa forza rivoluzionaria rimanda alla figura mitologica propria di Dioniso, divinità greca che scompagina con il suo arrivo l’ordine (Baldascini, Montella, 2023), come un adolescente rivoluzionario che con una forza trasformatrice e creativa aiuta la collettività ed include le differenze. Ritengo che la figura e la storia mitologica di Dioniso possano venire in soccorso al terapeuta, che se è ispirato dalla propria creatività non incorre nella rigidità e nella ripetitività, ma attinge alle forme d’arte ed avvia una narrazione nuova in grado di risvegliare lo spirito dionisiaco che giace sopito negli adolescenti. Quando questo accade la creatività dei giovani è sorprendente, perché è messa al servizio del Noi e della comunità e può diffondere e creare salute e bellezza con invenzioni, forme di cooperazione e di solidarietà. Infatti, quando l’adolescente ricollega i fili della propria storia incontra il proprio desiderio e il talento, quelle dimensioni intime e singolari di ogni persona, va alla ricerca della realizzazione di sé ed è spinto a fare nuove esperienze, ad avere nuovi incontri d’amore, d’amicizia, tollerando anche le inevitabili esperienze di sconfitte, fallimenti o perdite. Dunque, al di là della risoluzione dei sintomi, la psicoterapia, a nostro avviso, non mira ad uniformare gli adolescenti alle aspettative sociali, ma ad aiutarli a ritrovare se stessi, ad elaborare i propri vissuti e a restituire un senso del vivere inedito e creativo.
A questo proposito concludo ricorrendo ad un’altra immagine mitologica, le Muse, perché l’esperienza terapeutica, nel risvegliare l’adolescente sedotto dalle sirene virtuali, può aiutarlo ad entrare in contatto con il loro canto. Se il canto delle Sirene allontana dalla realtà e conduce all’irreale, frutto di fantasie compulsive, quello delle Muse, invece, ha la facoltà di richiamare nuove memorie, capaci di far immaginare il futuro ed infondere ispirazione creativa.[17]
In fondo solo quando l’adolescente ritrova se stesso ed il proprio posto nel mondo può ascoltarsi e cogliere l’ispirazione artistica che risiede nelle profondità del suo mondo interiore.
Il viaggio terapeutico può essere un modo per consentire al giovane di contemplare e comporre le proprie personali ed uniche opere, ma, a nostro avviso, può addirittura spingerlo alla ricerca di nuove scoperte che potrebbero consentire l’evoluzione dell’intera collettività.
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[1] psicologa, psicoterapeuta, didatta e supervisore clinico, responsabile area ricerca presso l’Istituto di Psicoterapia di Napoli e Caserta(IPR). Già giudice onorario presso il Tribunale per i minori di Napoli, esperta in psicologia giuridica, socio e membro della commissione ricerca della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale (SIPPR). https://www.ipr.napoli.it/chi-siamo/conci-i-docenti/fabiana-montella.html
[2] L’istituto è fondato e diretto da Luigi Baldascini.
[3]Il Reality Shifting è una tecnica autoipnotica divenuta di moda su Tik-Tok. I giovani vi ricorrono per cercare di sfuggire dalla realtà immergendosi in mondi alternativi.
[4] Osservato e studiato per la prima volta da Bigelsen e Somer (2002) dell’università di Haifa in Israele, è definito come “un’estesa attività della fantasia che sostituisce l’interazione umana e/o interferisce con il normale funzionamento interpersonale”.
[5] Concetto sviluppato da Charles-Edouard Notredame (2017), psichiatra infantile e dell’adolescenza presso l’ università di Lille. Si riferisce all’informazioni emotivamente cariche relative al suicidio che si diffondono sul web e possono aumentare, contagiando, le scelte suicidarie sulla base dell’effetto Werther.
[6] Il sociologo David Phillips descrisse l’effetto Werther con riferimento al romanzo I dolori del giovane Werther di Goethe. Si riferisce al fenomeno per cui la notizia di un suicidio diffusa dai mezzi di comunicazione provoca una catena di altri suicidi.
[7] Sfida diffusa sui social che incita al soffocamento ed incoraggia i ragazzi a superare prove pericolose fino allo svenimento.
[8] Autonomous Sensory Meridian Response: risposta autonoma del meridiano sensoriale. I video di youtuber ormai famosi prevedono effetti sonori e visivi registrati e divulgati con l’obiettivo di rilassare e tenere a bada lo stress.
[9] Da sempre il ricorso alla mitologia ha permesso di fare luce sulle esperienze umane e tradurre con immagini archetipiche e simboli i vissuti più profondi e l’interagire umano.
[10] Il modello intende la crescita come un processo che condurrà il soggetto dalla dipendenza all’appartenenza attraverso varie trame relazionali ed un dialogo costante tra mondo interno e mondo interpersonale esterno. (Baldascini,2003).
[11] Andolfi nella prefazione al libro Vita da Adolescenti di Baldascini (1993).
[12] Il concetto di isomorfia nella teoria generale dei sistemi di von Bertalanffy (1968) richiama l'idea di un'analogia funzionale tra diversi sistemi.
[13] Gli studi sistemici si sono dedicati sia alla ricerca della trasmissione intergenerazionale, vissuti trasmessi attraverso scambi intersoggettivi (Nicolò Corigliano,1996) che transgenerazionale, miti, segreti, non detti, trasmessi senza essere comunicati direttamente (Boszormenyi-Nagi,1988, Schutzenberger,2004). L’insieme di vissuti, fantasie, emozioni ed idee trasmesse in assenza di uno scambio diretto costituiscono il transpersonale, stato mentale invisibile ed inconscio che influenza le persone.
[14] Il campo transpersonale è stato studiato dalla gestalt - psychology (Lewin, 1948) e dalla gruppo-analisi (Corrao,1986) con la sua funzione di contenitore relazionale e mentale in cui si realizzano trasformazioni emotive e di pensiero e prendono forma fantasie ancor indeterminate.
[15] Per la teoria del campo sistemico si rimanda al testo La creatività nella teoria e nella terapia di coppia di Baldascini, Mastrangelo (2022) e La psicoterapia relazionale con l’adolescente, a cura di Baldascini, Montella (2023).
[16] Le ricerche in neuroscienze testimoniano come la psicoterapia possa data la plasticità del cervello modificare anche attraverso l’immaginazione tracce mnestiche consolidate e generare nuove connessioni neuronali. Le teorie dimostrano che l’incontro e l’interazione in seduta possono favorire pensieri inediti che modificano la struttura fisica del cervello (Doidge,2007)generando connessioni sinaptiche e circuiti neuronali nuovi.
[17] Le Muse sono nell’Iliade le divinità abitanti l’Olimpo figlie di Zeus e Mnemosine, dea della memoria. Con il loro canto melodioso svelavano le cose presenti, passate e future, custodi della cultura e delle arti, permettevano ai grandi avvenimenti di non venir dimenticati nel tempo.