Perturbando l’opacità di un sistema dipendente

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Maurizio Frisina[1]

Commento dell’articolo  Vieillissement et aide à domicile en France : les conduites d’alcoolisation et les substituts parentaux, di Alba Moscato e Isabelle Varescon

 

Ho letto con particolare interesse l’articolo di Alba Moscato e Isabelle Varescon in quanto affronta un argomento spesso lasciato ai margini del discorso sulle dipendenze: i comportamenti di alcolismo nelle persone anziane. Inoltre, questa tematica è letta attraverso un prisma particolare, quello dell’incontro tra il sistema familiare e il personale di cura a domicilio. Ovvero, un’occasione in cui il sistema dipendente viene perturbato in una delle dimensioni che più lo caratterizza: la sua opacità rispetto al mondo esterno.

Nelle dipendenze si assiste infatti ad un progressivo ripiegarsi del sistema su se stesso, più precisamente intorno alla sostanza, che ne diventa il principio organizzatore. L’alcolista struttura le sue giornate in modo da procurarsi l’alcol, nasconderne il consumo, evitarne la mancanza... Questi comportamenti assumono delle forme ripetitive e codificate, diventando dei veri e propri rituali che dapprima affiancano, fino a poi rimpiazzare, quelli familiari. L’alcol diventa il centro di gravità della vita dell’alcolista, che «cerca, senza riuscirci, di controllarne il consumo, tracciando dei limiti che sono destinati a essere oltrepassati, spesso in una negoziazione intima che infligge a se stesso: “Solo un bicchiere”, “domani smetto...» (Frisina, 2020a, p. 267). La perdita di libertà della persona dipendente si estende al resto del sistema: la famiglia, cercando di attenuare o chiaramente impedire gli eccessi dell’alcolista, sviluppa dei comportamenti di controllo nei suoi confronti. Tuttavia, queste dinamiche di sorveglianza sono destinate a fallire, alimentando un circuito senza fine di alcolizzazioni nascoste e tentativi di controllo sempre più vincolanti. Come in uno specchio, l’impotenza dell’alcolista rispetto alla bottiglia rimanda a quella della famiglia rispetto all’alcolista stesso. Oppure, in altri casi, l’entourage può adottare una posizione di minimizzazione della dipendenza, nella speranza silenziosa che, distogliendo lo sguardo, anche le conseguenze dell’alcolismo scompaiano. In entrambi i casi, queste reazioni della parte dei familiari, chiamate dinamiche di codipendenza (Anasassiou 2003, Frisina 2020b), contribuiscono a mantenere quello stesso funzionamento intorno alla sostanza che invece vorrebbero impedire. Anche le autrici dell’articolo, a loro modo, ne parlano: «i comportamenti di alcolismo hanno spesso delle conseguenze che diventano elementi di organizzazione relazionale della struttura familiare. Generano delle regole, dei ruoli, dei patterns relazionali intrafamiliari e delle relazioni specifiche con l’ambiente sociale» (p. 5).

Il sistema dipendente si chiude su se stesso, in un processo caratterizzato da una riduzione dei contatti con l’esterno (per nascondere il proprio disfunzionamento) e da un progressivo ma ineluttabile restringimento della ricchezza delle posizioni relazionali fino ad una semplice e ripetitiva alternanza di comportamenti di consumo e tentativi infruttuosi di impedirlo. Le autrici dell’articolo descrivono questo processo in termini di regole (minimizzazione, silenzio, isolamento) e meta-regole (rigidità).

Il sistema familiare si allontana da ciò che lo circonda, diventa opaco e, così facendo, crea un mondo ad una scala relazionale ridotta e più facile da gestire, seppur al prezzo di una progressiva perdita di complessità. È interessante notare come il ripiego su di sé e la riduzione dell’autonomia siano propri non solo alla dipendenza, ma anche all’invecchiamento: è come se le famiglie descritte da Moscato e Varescon si trovino all’incrocio tra due processi che agiscono sugli stessi snodi.

Quando un sistema familiare perde complessità, e adotta un funzionamento opaco e ripetitivo, a lungo andare provoca l’intervento compensatorio da parte del macro-sistema sociale[2], sotto forma di un’azione dei servizi sociali, della giustizia o - come in questo caso - del personale di cura a domicilio. Quando ciò avviene, si opera una perturbazione del sistema dipendente, sotto forma di un incontro che può essere occasione di ripetizione o di cambiamento.

Ritengo interessante utilizzare a questo proposito la griglia di lettura dell’isomorfismo. Etienne Dessoy (2000) considera che, quando un professionista entra in contatto con un paziente, spesso può ritrovarsi ad occupare delle posizioni simili a quelle presenti nel sistema di appartenenza del paziente stesso. In altre parole, il sistema può accogliere la persona invitandola ad occupare un ruolo che la precede, assorbendola così nel suo funzionamento. Penso ad esempio a quando, nell’articolo, le autrici descrivono come la famiglia dell’anziano alcolista, entrando in contatto col personale di cura a domicilio, possa rivolgere loro una domanda implicita di “riparazione”. Ovvero, lasciando loro il ruolo di gestire quelle dinamiche in cui loro stessi considerano di aver fallito (con un parallelo allontanamento dei familiari rispetto all’alcolista, come se “cedessero” il loro posto al nuovo arrivato). Ovviamente, l’isomorfismo è un processo a cui partecipa anche il personale di cura, senza rendersene conto. Le autrici in effetti descrivono come una delle reazioni può essere quella di fornire all’anziano l’alcol (riprendendo la regola della minimizzazione), oppure di rispondere all’invito di riparazione, diventando «un sostituto genitoriale» (p. 7) e cedendo alla tentazione del « fantasma di appropriazione » dell’anziano alcolista (p.8).

Tuttavia, l’isomorfismo è una possibilità e non un destino. L’incontro tra il sistema familiare dipendente e il personale di cura è una perturbazione che costituisce un pericolo (di ripetizione) ma anche un’opportunità (di cambiamento). In effetti, l’arrivo di una persona esterna al sistema provoca una perdita di quell’opacità che lo ha caratterizzato per molto tempo. Inoltre, la confusione dei ruoli che ne consegue può rivelarsi generatrice di cambiamento. Del resto, i cambiamenti di omeostasi (nella teoria dei sistemi complessi parliamo di cambiamento di attrattore, Frisina 2020b) sono accompagnati spesso da una transizione caotica, ovvero un processo di perdita temporanea di riferimenti ma che apre a nuove possibilità e nuovi equilibri.

Affinché l’incontro tra il sistema familiare dipendente e il personale di cura a domicilio sia un’occasione di cambiamento, ritengo importante fare attenzione a due elementi. Innanzitutto, che questi professionisti ricevano un riconoscimento del ruolo svolto, anche attraverso delle formazioni che diano loro gli strumenti per relazionarsi con un sistema a transazione dipendente. Molto spesso il personale di cura a domicilio infatti gode di scarsa considerazione sociale, ed è chiaro che il rischio dell’isomorfismo è tanto più grande quanto il professionista stesso non ha un ruolo alla base sufficientemente riconosciuto. Il secondo elemento è, come ricordano anche Moscato e Varescon, il lavoro in rete: «la malattia alcolica in quanto problematica medico-psico-sociale necessita l’intervento di una rete professionale al fine di evitare delle rotture nell’accompagnamento» (p.9). 

L’incontro tra il sistema familiare di un anziano dipendente dall’alcol e il personale di cura a domicilio è una perturbazione che può fare uscire il sistema dalla sua opacità, favorire un riposizionamento nei ruoli, ed eventualmente essere l’occasione per l’inizio di un percorso terapeutico.

 

 

Perturber l’opacité d’un système dépendant

 
Maurizio Frisina[3]

Commentaire à l’article Vieillissement et aide à domicile en France : les conduites d’alcoolisation et les substituts parentaux, d’Alba Moscato et Isabelle Varescon

 

J’ai lu avec le plus grand intérêt l’article d’Alba Moscato et Isabelle Varescon qui aborde un sujet souvent laissé à la marge du discours sur les addictions : les conduites d’alcoolisation chez les personnes âgées. De plus, cette thématique est traitée à travers un prisme particulier, celui de la rencontre entre le système familial et les aides à domicile. À savoir, un moment où le système dépendant se voit perturbé dans une des dimensions qui le caractérisent le plus : son opacité face au monde extérieur.

Dans les addictions on assiste en effet à un repli progressif du système sur lui-même, plus précisément autour du produit, qui en devient le principe organisateur. L’alcoolique structure ses journées afin de se procurer l’alcool, d’en cacher la consommation, d’en éviter le manque… Ces comportements prennent des formes répétitives et codifiées, jusqu’à devenir de véritables rituels qui d’abord accompagnent puis remplacent ceux propres du système familial. L’alcool devient le centre de gravité de la vie de l’alcoolique, qui « cherche sans y parvenir à contrôler sa consommation, en traçant des limites qui sont destinées à être franchies, souvent dans une négociation intime qu’il s’auto-inflige :  “Juste un verre”, “demain j’arrêterai”, etc. » (Frisina 2020a, p. 267).

La perte de liberté de la personne dépendante s’étend au reste du système : la famille, afin d’atténuer voire carrément empêcher les excès de l’alcoolique, développe des conduites de contrôle à son égard. Toutefois, ces dynamiques de surveillance sont vouées à l’échec, et finissent par alimenter un circuit sans fin d’alcoolisations cachées et de tentatives de contrôle de plus en plus contraignantes. Comme dans un miroir, l’impuissance de l’alcoolique par rapport à la bouteille renvoie à celle de la famille à l’égard de l’alcoolique lui-même. Ou bien, dans d’autres cas, l’entourage peut adopter une position de minimisation de l’addiction, dans le secret espoir que, en détournant le regard, les conséquences de l’alcoolisme disparaissent. Dans les deux cas ces réactions de la part de la famille, appelées dynamiques de codépendance (Anastassiou 2003, Frisina 2020b), contribuent au maintien de ce même fonctionnement autour du produit que pourtant elles cherchent à empêcher. Les autrices de l’article en parlent également : « Les conduites d’alcoolisation ont souvent des conséquences qui deviennent organisatrices relationnelles de la structure familiale. Elles génèrent des règles, des rôles, des patterns relationnels intrafamiliaux et des relations spécifiques avec l’environnement social » (p. 5).

 Le système se referme sur lui-même, dans un processus caractérisé par une réduction des contacts avec l’extérieur (afin de cacher son dysfonctionnement) et par un progressif mais inéluctable rétrécissement de la richesse des positions relationnelles, jusqu’à la simple et répétitive alternance des consommations et des tentatives infructueuses de les empêcher. Les autrices de l’article décrivent ce processus en termes de règles (minimisation, silence, isolement) et métarègles (rigidité). Le système familial s’éloigne de ce qui l’entoure, devient opaque et, ce faisant, crée un monde à une échelle relationnelle réduite et plus facile à gérer, même si c’est au prix d’une perte progressive de complexité. Il est intéressant de remarquer que le repli sur soi et la réduction de l’autonomie ne sont pas propres uniquement à l’addiction, mais également au vieillissement : c’est comme si les familles décrites par Moscato et Varescon se trouvaient au croisement entre deux processus qui agissent sur les mêmes nœuds.

Lorsqu’un système familial perd de sa complexité, et présente un fonctionnement opaque et répétitif, il finit par provoquer l’intervention compensatoire de la part du macro-système social[4], sous forme d’une action des services sociaux, de la justice, ou – comme dans le cas de l’article – des aides à domicile. Quand cela se produit, le système dépendant est perturbé par une rencontre qui peut se révéler source de répétition ou de changement.

Il me parait intéressant d’utiliser à ce propos la grille de lecture de l’isomorphisme. Etienne Dessoy (2000) estime que, lorsqu’un professionnel entre en contact avec un patient, souvent il peut se retrouver à occuper des positions similaires à celles présentes dans le système d’appartenance du patient lui-même. C’est-à-dire, le système peut accueillir le soignant en l’invitant à occuper une place qui le précède, et en l’absorbant ainsi dans son fonctionnement. Je pense en particulier au passage de l’article où les autrices décrivent la façon dont la famille de l’alcoolique âgé, en faisant la rencontre avec les aides à domicile, leur adresse une demande implicite de « réparation » ; notamment, en leur confiant la gestion de ces mêmes dynamiques dans lesquelles ils estiment avoir échoué (ce qui s’accompagne également d’un éloignement de la famille à l’égard de l’alcoolique, comme si la place était « cédée » aux nouveaux arrivés). Naturellement, l’isomorphisme est un processus auquel les aides à domicile participent aussi, souvent sans s’en rendre compte. Les autrices en effet décrivent leurs réactions de procurer l’alcool à la personne âgée (en reprenant la règle de la minimisation), ou alors de répondre à l’invitation de réparation, jusqu’à devenir « un substitut parental » (p. 7) et à céder à la tentation du « fantasme d’appropriation » (p. 8).

Toutefois, l’isomorphisme demeure une possibilité et pas une fatalité. La rencontre entre le système familial dépendant et le personnel de soin est une perturbation qui constitue à la fois un danger (de répétition) mais également une opportunité (de changement). En effet, l’arrivée d’une personne extérieure au système provoque la perte de cette opacité qui l’avait caractérisé depuis longtemps. Par ailleurs, la confusion des rôles qui en découle peut se révéler génératrice de changement. De plus, les modifications d’homéostasie (dans la théorie des systèmes complexes : changements d’attracteur, Frisina 2020b) sont souvent accompagnées d’une transition chaotique, c’est-à-dire d’un processus de perte temporaire de repères qui ouvre cependant à de nouvelles possibilités.

Afin que la rencontre entre le système familial dépendant et les aidants à domicile se révèle une occasion de changement, je considère important de souligner deux éléments. D’abord, le fait que ces professionnels reçoivent une reconnaissance de leur rôle, à travers par exemple des formations qui leur donnent des outils pour se mettre en relation avec un système à transaction dépendante. Trop souvent les aides à domicile ne reçoivent que peu de considération sociale, et il est clair que le risque d’isomorphisme est d’autant plus grand lorsque le professionnel ne dispose pas à la base d’un rôle suffisamment reconnu. Le deuxième élément, comme rappelé par Moscato et Varescon, est le travail en réseau : « La maladie alcoolique en tant qu’affection médico-psycho-sociale nécessite l’intervention d’un réseau professionnel afin d’éviter des ruptures d’accompagnement et la survenue de conflits » (p. 9).

La rencontre entre le système familial d’un alcoolique âgé et les aides à domicile est une perturbation qui peut faire sortir le système de son opacité, faciliter le repositionnement des rôles, et éventuellement devenir l’occasion d’amorcer un parcours thérapeutique.

 

BIBLIOGRAPHIE

Anastassiou V. (2003) Les distorsions des fonctions parentales dans le système alcoolique, Alcoologie et Addictologie 25 (3), pp. 191-199

Dessoy, E. (2000) Isomorphisme et changement, commentaires à l’étude de cas du petit Jean, L’homme et son milieu, Etudes Systémiques, UCL, Louvain-la-Neuve

Frisina, M. (2020a) Une lecture systémique du rapport entre transgression et cadre thérapeutique. Thérapie familiale, 2020 (4), 267-286

Frisina, M. (2020b) Sur le bord du chaos : Complexité, thérapie systémique et addictions, l’Harmattan, Paris. Trad. it. Sul bordo del caos : Complessità, terapia sistemica e dipendenze, 2020, Mimesis, Milano

 

 

 

 

[1] Psicologo e psicoterapeuta, co-dirige l’Unità 1 della Clinique la Ramée a Bruxelles (Belgio), centro d’eccellenza per la cura delle dipendenze ; formatore alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Centro Panta Rei a Milano ; autore del libro Sul bordo del caos: complessità, terapia sistemica e dipendenze pubblicato in Italia da Mimesis (2020) e in Francia da l’Harmattan, Parigi (2020).

[2] Ho descritto questo funzionamento nel mio libro Sul bordo del caos (Mimesis, 2020), in cui presento una classificazione delle dipendenze lungo il continuum tra caos e periodicità. I sistemi dipendenti descritti nell’articolo sono probabilmente in gran parte di tipo periodico.

[3] Psychologue et psychothérapeute, co-dirige l’Unité 1 de la Clinique la Ramée à Bruxelles (Belgique), centre d’excellence pour la prise en charge des addictions ; formateur en troisième cycle au Centro Panta Rei (Milan, Italie) ; auteur de l’ouvrage : Sur le bord du chaos. Complexité, thérapie systémique et addictions, publié en France par l’Harmattan, Paris (2020) et en Italie par Mimesis, Milan (2020).

[4] J’ai décrit ce fonctionnement dans mon ouvrage Sur le bord du chaos (l’Harmattan 2020), dans lequel je propose une classification des addictions le long du continuum entre chaos et périodicité. Les systèmes dépendants décrits dans l’article seraient probablement en grande partie de type périodique.

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